Flori-legio
Per parlare del raccogliere, occorre riferirsi anche al coltivare e, da qui, passare, in nome, anche, dell’arte, al libro sacro del Qoheleth o Ecclesiaste, terme che significa, fra l’altro, stando ad alcune ipotesi etimologiche, raccoglitore, si intende, di esperienza, di sapienza. Oltre ogni raccoglitore/classificatore e raduno/adunanza fatti per rac-contarsi magari senza ac-cogliersi.
Qoheleth, il Radunante, pseudonimo dell’autore del testo contenuto nella Bibbia ebraica (Tanakh) e cristiana, ci conduce da par suo al connubio tra arte e coltura e cultura, nel loro derivare dal colere latino.
L’arte è, infatti, uno dei modi più nobili per coltivarsi, non per dire, come in passato, che tutto è cultura, sibbene per indicare un’ecologia dell’anima che passa anche dalle forme del fare artistico, ossia da una prassi esecutiva del vivere quotidiano, che arriva fino al lavoro ed al lavorio che sta dietro le forme d’arte più svariate e concettuali.
Parlare di raccolte d’arte non significa quindi escludere il raccolto concretamente e metaforicamente inteso. Forme di arte naturale caratterizzano questa tarda modernità o post-modernità, con l’impiego “florilegico” di materiali od elementi della natura da parte dell’artista-artifex che più si interroga su sé stesso.
L’antologia, che è, etimologicamente, un’altra forma di raccolta o raccolto, nata da una scelta ed una de-cisione (presente nel tedesco Ernte), fu in Pascoli chiamata anche “Fior da fiore”.
Fior di farina e fior di pelle, sono due esempi di una nobiltà raggiunta da un agire agricolo e, simmetricamente, da un sentire sensibilissimo.
Entro questi due limiti si muovono, come guidate da un gesto altamente simbolico, quello ampio e rotondo del seminatore, le mostre d’arte che vogliono essere profondamente indagabili e collocabili nel tempo così come è significato nell’Ecclesiaste, ossia nel tempo opportuno (kairos, direbbero i greci) per ogni cosa. Anche per quello che si serve dell’agri-coltura e la applica all’arte in tutte le sue valenze, da quelle divenute classiche a quelle che più si avvicinano alla performance, azione che chiama in causa in modo altamente terreno, la corporeità e, dunque, il nostro essere fatti di terra, e quindi non solo etimologicamente, figli di Adamo.
Paola Colotti
Scrittrice
Museo Vincenzo Vela